“Raccontare i sogni e chiedere l’interpretazione era un fenomeno straordinario, mai accaduto. Ed era una manifestazione collettiva e pubblica, così sono nati i seminari di Analisi collettiva”
Analisi Collettiva
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“È stata la gente ad arrivare e a chiedermi l’interpretazione dei sogni. Io ho solo risposto a questa domanda collettiva, di anonimi”.
“L’Analisi collettiva è un monstrum per un rapporto interumano che fa l’interpretazione dei sogni”.
“L’Analisi collettiva è una creazione di massa”.
© M.Fagioli
LA STORIA
Il 23 settembre 1975 Massimo Fagioli viene invitato presso l’Istituto di psichiatria dell’Università “La Sapienza” di Roma per svolgere una supervisione a colleghi psicoterapeuti. Gli incontri, che presero il nome di seminari, si tenevano settimanalmente il martedì mattina in una stanza dell’Unità Esterna dell’Istituto e duravano due ore.
“E così cominciò nel 1975-1976 questa cosa, e accadde che da quindici colleghi che mi portavano i casi da supervisionare – «Io ho questo paziente che dice questo, fa questo», «Sentiamo un po’ cosa si può fare, cosa non si può fare…» – cominciarono ad avvicinarsi altre persone, gli studenti eccetera eccetera. Fatto si è che nel giro di un paio di mesi, se non tre, c’erano ottanta persone, in una saletta di Villa Massimo, piena e strapiena”.
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Sin dall’inizio, però, Fagioli conduce la supervisione uscendo dai classici schemi.
“E così man mano, da quindici, quattordici che erano gli analisti ai quali facevo la supervisione e che già avevo un po’ turbati, perché nelle interpretazioni non è che parlassi bene di Freud, quindi erano già un po’ turbati, poi arrivò tutta ’sta gente, prima uno, poi sette, poi quattro, poi dodici eccetera, finchè arrivammo al 4 novembre e ci fu la grande crisi degli psicoanalisti ufficiali che cominciarono ad andarsene, e arrivò altra gente”.
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“La prima crisi si ebbe in occasione di un giorno festivo, il quattro novembre per l’esattezza, in cui accennai, più che interpretare, alla separazione e alla indifferenza. Un analista disse che, mentre prima stava bene, dopo il mio dire si era riempito di rabbia: l’indifferenza era intaccata, dissi. Un altro parlò di una sua fantasticheria nella quale era disteso come un malato in un letto del reparto psichiatrico con tutti i medici intorno. Iniziò così la rapida fuga degli analisti (c’era pericolo che emergesse la psicosi nascosta) e l’ingresso della gente non analista. Nel giro di poche settimane la stanza era strapiena. Interessante il nesso: come si allontanano gli “analisti” la gente viene a fare analisi”.
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HO FATTO UN SOGNO
Nel giro di poche settimane un’affluenza spontanea e straordinaria di persone, di gente comune, senza un’identità sociale specifica, di varia età, censo e cultura, trasforma tale supervisione in un fenomeno unico, chiamato Analisi collettiva.
Il 13 gennaio 1976 si svolge un altro momento fondamentale della storia dell’Analisi collettiva. Diversamente da quanto successo a novembre quando i colleghi si allontanarono dal seminario, accade invece che, in una seduta affollatissima, una sconosciuta partecipante racconta spontaneamente un sogno. Fagioli di fronte a questa provocazione non si tira indietro e, compiendo una trasgressione rispetto alle regole della psicoanalisi classica, interpreta il sogno; cosa che ha continuato a fare per più di quarant’anni:
“Quella fu la grande svolta, perché io invece di dire «questo no, l’interpretazione dei sogni si fa nello studio privato…», ho risposto”.
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“Quindi mi trovai di fronte a due fenomeni: uno, una persona, che per altro era anche una bella ragazza, che disse: «Io ho fatto un sogno»; e due, il fatto che io, invece di chiedere le libere associazioni, mi lanciai a interpretarlo. Ecco, feci una cosa che, direi proprio, non era stata mai fatta”.
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L’afflusso sempre più numeroso di persone che affollavano i seminari non passò inosservato e attirò l’attenzione della stampa che cominciò a interrogarsi sulla realtà di questo fenomeno unico. Il 9 novembre 1977 compaiono i primi tre articoli sul quotidiano “Il Messaggero”: è la prima volta che su un quotidiano nazionale compare il termine “Analisi collettiva”.
9 Novembre 1977. “Tutti insieme intimamente” (Il Messaggero) con foto di Michelangelo Giuliani dell’aula dei seminari di via di Villa Massimo sottotitolata “una seduta di un gruppo di analisi collettiva diretta dal professor Massimo Fagioli”; nello stesso numero: “Un analista che rifiuta Freud” (F. Stinchelli); “Ecco la cronaca di una seduta” (L. Vaccari ); “Chi è il padrone del discorso?” (R. Guarini ).
12 Marzo 1978. “Psicanalisi d’assemblea all’università. A Roma è scoppiato l’Anti-Freud” (Corriere della sera)
VIA ROMA LIBERA
Per poter accogliere la sempre più crescente richiesta di terapia, Fagioli apre nuovi seminari che nel giro di pochi anni diventano quattro.
“E dapprima una, il martedì mattina, poi due, rapidamente tre, aumentarono le sedute di psicoterapia. Poi abolii il vecchio martedì mattina e ne ricreai (o creai) uno nuovo alle 19 del tardo pomeriggio. Dalla seduta del 10 gennaio 1979, e poi con l’abolizione e la ricreazione del martedì, furono quattro”.
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“E, passati cinque anni, si determinò un conflitto notevole con l’allora direttore [dell’Istituto di psichiatria, ndr], che era Reda, il professor Reda, per cui la cosa non poteva più stare lì, non si sa perché. Le motivazioni erano di tipo berlusconiano: «Perché ci sono tre cicche per terra». Perché uno aveva disegnato un pupazzetto sul muro. «Lo ridipingo io, non c’è problema!». «No no, eh no».
Siccome forse pensava che l’università fosse il suo istituto privato, mandava lettere che dovevamo sospendere il tutto nel giro di più o meno quindici giorni. Al livello di quando si dà il benservito alla colf, mi pare che ha diritto a quindici giorni. Bene, il professor Reda faceva queste cose. Continuare a resistere? Continuare a lottare? A un certo momento, la grande decisione; girando girando, mi ero trovato un locale per conto mio: prenderlo e continuare il lavoro e la ricerca, la cura, la formazione e la ricerca, nel mio locale privato. E questo era il 1979-1980”.
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Il 10 novembre del 1980, i seminari si trasferiscono dai locali dell’Università nell’ampio studio privato in via Roma Libera 23. Qui, nel 1984, il tempo della seduta aumenta, fino a raggiungere le quattro ore.
“E penso che, tempo fa, dissi che andarsene dall’Istituto di psichiatria era, per l’Analisi collettiva, la realizzazione della sua nascita”.
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“Per quasi due anni cercai un luogo per salvare ciò che, anche a quel tempo, si chiamava Analisi collettiva. Due anni in cui le sedute di psicoterapia si svolsero sotto la minaccia che tutto sarebbe morto da una settimana all’altra. Eliminato, cancellato, annullato. Sembrava una certezza ma tanti e tanti continuarono a venire e a chiedere l’interpretazione dei sogni. Ed io rispondevo. Il 10 novembre 1980 eravamo salvi e ci sedemmo sulle tavole di panchine traballanti”.
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LA SEDUTA DI PSICOTERAPIA DI GRUPPO
“Varco il portone di via Roma Libera; apro le porte dello studio e, quando tutti sono entrati, le chiudo ed inizia la seduta di psicoterapia di gruppo. Ad uno ad uno parlano in presenza di tanti ed io ascolto osservando l’espressione del volto, il tono della voce più o meno alta o bassa, la postura. Al suono della voce nascono nella mia mente immagini; io le trasformo in parole che rivelano la figura percepita nella veglia; e dico anche il pensiero verbale che sta dentro le immagini. Le parole di chi racconta il sogno descrivono le figure che sono comparse nella sua mente ma provocano, nella mia mente, immagini che rivelano la percezione della veglia precedente al sogno e il pensiero verbale non manifesto. L’interpretazione rende conoscibili sia la percezione cosciente, sia il pensiero latente. […] Il ricordo cosciente del mio corpo che esce dal portone di via Roma Libera è, in verità, risveglio perché è riprendere il rapporto con la realtà della veglia. E noi diciamo che, al fondo, è la ricreazione della fine dell’allattamento ovvero quella separazione dalla madre detta svezzamento, stazione eretta, autosufficienza, ovvero ‘fare da soli’”.
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“E poi ho ripetuto spesso una logica: se avessi pensato di stare male, avrei pensato di stare male nella mente e, conseguenza ineluttabile, l’Analisi collettiva non ci sarebbe più da tempo. Non è pensabile che, senza la certezza di una identità oltre la coscienza e la ragione, qualcuno avrebbe potuto affrontare la violenza invisibile della realtà senza coscienza altrui. Per trentacinque anni sono venuti, a cento e a mille, esseri umani che facevano emergere la violenza degli annullamenti e delle negazioni. Ed ogni volta che vedevo una realtà che parlava, era sempre diversa e sconosciuta. Ho risposto sempre perché, evidentemente, non pensavo che l’altro era violento. Dopo aver ascoltato la voce che raccontava le immagini oniriche vedevo la violenza dell’annullamento e della negazione. Davo un nome ad una realtà nascosta di cui l’altro, talora, non si rendeva conto. Non era proiezione perché pensavo che l’altro fosse simile a me stesso e pensavo in lui una nascita umana come quella che mi aveva detto che l’essere umano nasce con «l’inconscio mare calmo»”.
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“E qui risorge la domanda di prima: questo è accaduto per quel particolare potere, fascino, o, se vogliamo, bravura dello psichiatra? Se così fosse, io penso che, pur essendo stata una bellissima storia, sarebbe una ben triste storia: l’avventura di trent’anni non più ripetibile, perché troppo legata alle doti della persona. Molto più interessante, per non dire seducente, è che questa composizione della realtà cosciente, e addirittura della realtà sociale, con la liberazione delle dimensioni nascoste, primitive ignote, selvagge della realtà mentale umana sia legata e dovuta a quella teoria che comparve dattiloscritta, ufficialmente, nel gennaio 1971.
Perché parlava di nascita umana che aveva in sé una realtà mentale propriamente umana e che poi, quando non si perdeva nella distruzione interumana e quindi nella malattia, doveva realizzare quello che, appunto, si è sempre chiamato das Unbewusste. Tutto è iniziato quando, più di trent’anni fa, fu ufficializzato che l’inconoscibilità di ciò che non era veglia, coscienza e comportamento non era più inconoscibile, unbewusst, ma era stato sempre unbekannt”.
Il sogno della farfalla, rivista di psichiatria e psicoterapia, 4,2013, pag. 30
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Il sogno della farfalla, rivista di psichiatria e psicoterapia, 4,2013
SETTING-TRANSFERT-INTERPRETAZIONE
“Ora cerchiamo di mettere insieme tutto questo. C’è la costruzione di un particolare assetto, il setting, in cui si assume una certa posizione per le quattro ore di seduta di psicoterapia di gruppo; c’è l’analisi del transfert negativo, cioè l’interpretazione della negazione; e c’è il rapporto con le immagini oniriche, in cui evidentemente non entra la ragione, perché la ragione è così cretina che ha sempre pensato che le immagini oniriche fossero mandate da Minerva, da Apollo […]. Nella seduta di psicoterapia ci sono questi tre cardini fondamentali”.
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I tre elementi cardine su cui si è sempre basata la prassi dell’Analisi collettiva sono, quindi, il setting, il transfert e l’interpretazione.
Setting (insieme di condizioni contrattuali e formali che fanno da cornice ad un rapporto di psicoterapia): quello dell’Analisi collettiva è unico in quanto la seduta di psicoterapia, delimitata nello spazio e nel tempo, è gratuita, senza contratti, obblighi o richieste economiche; solo dal 1981 si determina la possibilità di dare un contributo economico libero e anonimo.
“La cosa poi, dal momento che l’Analisi collettiva aveva trovato posto in uno studio privato, carico ovviamente di oneri economici, trovò la strada, alla fine dell’81, dopo più di sei anni, in un contributo personale assolutamente anonimo e volontario, cioè segreto. È stata così salvata la libertà e, ancora di più, rispettata l’identità di ciascuno, non giudicata in base alle possibilità economiche”.
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Il sogno della farfalla, rivista di psichiatria e psicoterapia, 4,2013
“Dicevo che, invece, a Villa Massimo accadde tutta una cosa completamente diversa: il flusso spontaneo di queste prima decine, poi centinaia, poi migliaia di persone che vengono, se ne vanno, tornano, se ne rivanno di nuovo, e nessuno dice mai nulla. Possono fare tutto quello che gli pare, per cui non viene nemmeno chiesto il nome della persona. Non dico cognome, indirizzo e conto in banca, no. Ma nemmeno il nome, per cui tante volte me lo invento io. Quando mi viene di chiamarli li chiamo ‘Maglietta bianca’ o ‘Maglietta rossa’, una cosa qualsiasi per intendersi. Cioè questo portare il rapporto analitico, questo rapporto inconscio, questo transfert e controtransfert, questo rapporto terapeutico, quindi direi abbastanza delicato, in una dimensione di libertà assoluta, che non esiste nemmeno nei rapporti sociali e normali, in cui un certo impegno nel rapporto tra l’uno e l’altro c’è. Qui non c’è mai stato. Mai. Nel mio studio a Roma io non ho neppure il telefono, per cui se uno viene o non viene non mi può telefonare. Il rapporto è immediato”.
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“Vedo lo studio in cui facciamo le sedute e ricordo il 2001 quando modificai la struttura con un legno chiaro che mi portò all’angolo che unisce le due grandi ali. Non ci furono più esseri umani che, malamente, mi udivano senza vedermi, ma tutti potevano vedere la realtà del corpo e udire la voce che dava le interpretazioni dei sogni raccontati con la descrizione delle immagini oniriche. Fu frustrata la fantasticheria che avrebbe potuto pensare che avevo qualcosa da nascondere perché toglievo il corpo dalla loro vista”.
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Transfert (rapporto, prevalentemente non cosciente, che il paziente ha con il terapeuta): Fagioli per primo, contrapponendosi alla psicoanalisi classica, propone che il terapeuta non è la “rappresentazione” del padre o della madre del paziente; il terapeuta, al contrario, deve contrapporsi alla ripetizione del rapporto precedente, permettendo al paziente di creare, nel corso della terapia, una relazione completamente nuova e valida.
“Sempre si è pensato che il transfert era la riproduzione di antichi rapporti parentali. Un rapporto di tal genere, noi diciamo, è un rapporto falso, addirittura delirante. Il rapporto analitico, invece abbiamo scoperto, è il più vero, perché è rapporto con la realtà vera dell’analista che è la realtà inconscia”.
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L'Asino d'oro edizioni, di prossima pubblicazione
“La relazione di transfert e controtransfert si costituisce e si accetta nella situazione di contratto iniziale di trattamento psicoanalitico. Dopo di ciò sarà essa relazione, transferenziale e controtransferenziale, a costituire la base e la matrice di ogni interpretazione. I “dati di realtà” sono fuori della situazione analitica, condensati e sottintesi nel contratto iniziale”.
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“In ogni modo il nostro Sigismondo, prese… no, non prese il lettino perché avevano questo sommier, lo chiamavano, questa specie di divano con una spalliera, adesso non si usa più, nell’Ottocento c’era, per cui faceva rilassare il paziente su questo sommier, e poi, siccome forse non era capace di fare l’ipnosi, tentava qualche cosa e metteva la mano sulla fronte del paziente, dicendogli di parlare, parlare, di fare queste che poi doveva codificare come libere associazioni.
E poi si decise a togliere la mano e si allontanò, forse perché stava scomodo, e quindi poteva rilassarsi in poltrona, stabilendo una certa distanza dal paziente. Che, poi, certamente, tentò di teorizzare, dicendo che ci voleva una notevole distanza tra analista e paziente, perché ci voleva anche un’impassibilità. Forse aveva intuito che, specialmente quando la paziente era una bella ragazza – capita che sia bella, capita – lì viene fuori una certa cosa per cui, parlando parlando, confessando confessando, loro come dicono?, la paziente si possa innamorare dell’analista, sì.
Ma la cosa era che bisognava scoprire che non era reale. Io non ho capito perché, se c’è un desiderio fuori dello studio è reale, nello studio psicoanalitico non è reale. Non lo so. Quindi andava interpretato, evitato mediante la distanza e l’impassibilità dell’analista, che doveva convincere la paziente che non era reale. E ci scrisse, sopra, degli articoli, e venne fuori, appunto, questa parola ‘transfert’, la particolare relazione che si stabilisce nelle condizioni del setting, che determinava questo particolare rapporto, questa faccenda dell’innamoramento, dell’erotismo… come si chiama? Ci sono delle sindromi per cui a un certo momento delle persone si innamorano del presidente della Repubblica, fanno questa erotomania, si chiama così. E così il transfert è tutto quello che accade nel rapporto tra medico e paziente […]”.
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Università degli Studi "G. d'Annunzio" Chieti - Pescara
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Controtransfert (tutte le reazioni emotive coscienti e non coscienti del terapeuta nei confronti del paziente).
“Certo, ci muoviamo in un terreno molto pericoloso perché non ci sono prove obiettive. Però, appunto, vi dicevo, che là, a cominciare da Padova – forse a Venezia non avevo stabilito questi rapporti più profondi – dovetti affrontare questa storia di considerare la sensibilità un elemento fondamentale per la conoscenza, in particolare per la conoscenza psichiatrica. Questo implicava – anche qui, trovare le parole è difficile – un distacco, una separazione, che non era separazione, dalla medicina organica. Perché se uno fa il medico organico, se uno cura cuore e polmoni, stomaco e fegato, non ha nessun bisogno della sensibilità, anzi, se viene preso dalla sensibilità, non riesce più a fare il medico, questo è vero, dev’essere appunto obiettivo, impassibile, e forse indifferente”.
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Interpretazione (esplicitazione del senso latente nelle comunicazioni verbali e non verbali e nelle condotte di un soggetto): fondamento della prassi dell’Analisi collettiva è l’interpretazione.
“E così, nella misura in cui ci serve per illustrare e chiarire questo lungo fenomeno della psicoterapia come Analisi collettiva, insistiamo nell’evidenziare come accada che […] lì, all’ora esatta, abbia inizio questo particolare colloquio tra lo psichiatra e quelli che non mi piace chiamare pazienti, ma persone senza nome e cognome che vanno a chiedere qualcosa che all’apparenza non è sempre la stessa: una volta è un lamento, una volta è un’accusa, una volta è un racconto di un sogno, una volta è una considerazione sociale o politica, una volta ancora è una ricerca storica; e la risposta dello psichiatra è sempre l’interpretazione”.
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Il sogno della farfalla, rivista di psichiatria e psicoterapia, 4, 2013
Strumento terapeutico fondamentale per Fagioli è l’interpretazione dei sogni, da lui definiti come:
“[…] trasformazione del pensiero cosciente in pensiero senza coscienza. Dal pensiero verbale al pensiero per immagini. Non c’è la parola, non c’è linguaggio articolato, il sogno è pensiero libero. […] l’immagine onirica non è mai ricordo cosciente che riproduce esattamente quello che è accaduto nella veglia, perché crea un’immagine nuova sotto stimolo di quello che si è pensato e vissuto nella veglia, però trasformandolo. È un linguaggio personale”.
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Fagioli ha scoperto che l’interpretazione dei sogni è un cardine della terapia fondamentalmente per due motivi: i sogni sono un linguaggio per immagini e, in psicoterapia, raccontano del rapporto (transfert) che il paziente ha stabilito con il terapeuta. Pertanto il sogno, raccontato nel contesto di un gruppo molto vasto diventa, attraverso l’interpretazione, patrimonio conoscitivo per tutti i partecipanti alla seduta, dal momento che si basa sull’universalità del linguaggio delle immagini oniriche e su un elemento unificante che è il rapporto con il terapeuta. Questa impostazione teorico-metodologica ha permesso a Fagioli di interpretare pubblicamente i sogni, senza conoscere la biografia del sognatore e senza ricorrere alle libere associazioni.
Fagioli ha sempre radicalmente rifiutato l’idea freudiana dei sogni.
“Se i sogni sono sempre desideri, che bisogno c’è di lavorare e curare? I desideri sono dimensioni positive e arricchenti l’essere umano: desiderio di amore, di musica, di bella letteratura, ecc.”
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L'Asino d'oro edizioni, Roma 2013
“[…] ma tutto deve essere derivato dalle libere associazioni del paziente, per cui se una paziente sogna un cane e dice che è il cane del vicino, o della nonna, o della mamma, o il cane del canile o un cane randagio… bisogna pensare che sia un cane randagio. L’idea che il cane possa essere, mettiamo, la rappresentazione inconscia del suo ragazzo, nel senso di un cane rabbioso, un dobermann, o nel senso di un povero cane capitato nelle sue mani, l’analista non la deve avere. Non deve nemmeno pensare che il sogno possa essere una rappresentazione e non una memoria cosciente, perché sarebbero sue fantasticherie deliranti. Sta tutto scritto in tutte quelle centinaia e migliaia di pagine”.
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“Lei ha cominciato dicendo che Freud è un cretino, sostanzialmente, no?
La cosa cominciò con tre libri in cui, con quella che ormai è ben nota come Teoria della nascita, dimostro che Freud non aveva capito assolutamente niente della realtà non materiale e in particolare di quel terzo di vita che avevano chiamato inconscio.[…]
Freud diceva che le immagini oniriche sono allucinazioni, cioè non esistono […] Freud comincia dicendo che nei sogni c’è il desiderio, il desiderio insoddisfatto, e allora viene l’allucinazione e uno si mette a far l’amore nei sogni con Tizio, Caio o Sempronio. Il desiderio non c’è, nei sogni c’è la negazione! […]
E lei, con le interpretazioni delle immagini oniriche, dice che è possibile giungere alla guarigione di alcune patologie psichiatriche?
Adesso vi racconto un fatto personale. […] dopo la pausa estiva di sei settimane […] io sono rimasto di sale, sorpreso:“Ah, le vacanze sono andate bene, mi è passata la depressione”. […] gente che continuava con questo ritornello: “Mi è passata la depressione”.
A cosa è dovuto questo?
Eh, a cosa è dovuto? Sarà il lavoro di altri quarant’anni! Finora bisognava scoprire perché uno si ammalava, adesso bisogna scoprire perché uno guarisce e sta bene, gli passa la depressione.[…] da sempre noi abbiamo sopra una cappa millenaria, a partire dal peccato originale, dal male radicale di Kant, dall’ animalità del logos occidentale, dal nulla della mistica ebraica: quella di avere dentro un male, una carenza, con cui si nasce. Questo è il falso totale! Il male che viene è per il rapporto interumano, soprattutto del primo anno di vita in cui il rapporto non funziona.
È il primo anno di vita che è decisivo, secondo lei?
È il primo anno di vita che è decisivo.
Ma che possiamo fare?
Che possiamo fare? Ridare l’identità alle donne, che sono quelle che mettono al mondo i figli e nove volte su dieci li allattano per il primo anno di vita, anche se adesso sono sei mesi. Perché non hanno identità, perché il logos occidentale, l’identità umana razionale ha negato sempre l’identità umana della donna. […] Partire da lì per dire: tutte le nascite sono uguali”.
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CURA-FORMAZIONE-RICERCA
Quello che l’Analisi collettiva ha costruito e portato avanti nel corso di quarantuno anni, con i tre pilastri di base rappresentati dal setting, transfert e interpretazione, può essere riassunto in tre parole, indissolubilmente legate tra di loro pur nella loro diversità di significati.
“Fu il 20 marzo 1985 che, parlando a Napoli, dissi, senza averlo pensato: «cura, formazione, ricerca»”.
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“Noi ci dicemmo queste parole senza renderci minimamente conto di che cosa stavamo dicendo […] tre parole che non stanno assolutamente insieme”.
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rivista di psichiatria e psicoterapia, 1,2002
La cura si svolge rigorosamente all’interno delle quattro ore della seduta di psicoterapia di gruppo ed è definibile come un processo di trasformazione personale che avviene attraverso la “fantasia di sparizione” di proprie realtà interiori malate.
“La proposizione è: sparizione di proprie situazioni interiori di rapporto. Superamento cioè del concetto della presa di coscienza e del controllo. Individuato il negativo dell’uomo, individuate le dimensioni parziali, sadomasochistiche e masturbatorie di rapporto, la dialettica è nel rifiuto perché ci sia una sparizione di esse. […] Prassi continua, quindi, di interpretazione e rifiuto del disumano diretti alla sparizione delle tre dimensioni non trasformative, anaffettività, invidia, bramosia […]”.
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L'Asino d'oro edizioni, Roma 2013
“[…] quando invece scoprire il transfert negativo può innescare un pensiero che per me potrebbe essere straordinario, cioè dare alla malattia mentale un motivo: tu sei malato perché mi odi, perché mi annulli, eccetera. Cioè questa malattia mentale che sorge così, non si sa da dove venga e cosa sia e cosa porta, invece lì diventa un discorso preciso che si convoglia nel transfert, per cui tutte le dimensioni distruttive […] questo implica che uno pensi che la malattia mentale non è una libertà di espressione ma è una dimensione distruttiva […]”.
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La formazione è un termine che per Fagioli
“implica una soggettività individuale assolutamente libera e indipendente, implica una multidirezionalità di ricerca, implica dimensioni e realtà di varie esperienze”.
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rivista di psichiatria e psicoterapia, 1,2002
“[…] Uno va a fare un’esperienza a Parigi come pittore, il giorno dopo si accorge che non è buona allora cambia, va a Berlino, cambia quella di Berlino e decide che per la sua formazione occorre andare a New York, occorre studiare la letteratura, occorre fare il contadino, poi l’orafo, occorre abbandonare il padre, occorre fare tante cose, in una situazione di assoluta libertà, prendendo su se stessi tutta la responsabilità del fallimento, dei vari fallimenti, o eventualmente della riuscita”.
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rivista di psichiatria e psicoterapia, 1,2002
In questa dimensione di rapporto libero (apparentemente in contraddizione con il rapporto terapeutico, che è un rapporto definito, tra medico-terapeuta e paziente, in cui la responsabilità è quasi esclusivamente del terapeuta) avveniva il superamento e la separazione da proprie dimensioni patologiche. Ogni partecipante all’Analisi collettiva acquisiva, così, una conoscenza della propria e dell’altrui realtà umana, da spendere nei propri rapporti personali e nel proprio ruolo sociale. Per centinaia di psichiatri e psicologi tale percorso di cura personale e tale acquisizione di conoscenze è diventata la base per poter svolgere la propria attività psicoterapeutica.
Infine c’è la parola “ricerca”: all’interno di questo rapporto terapeutico e formativo si attua continuamente una ricerca sul funzionamento normale e patologico, cosciente e non cosciente, della mente umana, sulle dinamiche profonde dei rapporti interumani, privati e sociali, sulla psichiatria e sulla cultura dominante, che sempre hanno impedito il progresso della medicina della mente. All’interno dell’Analisi collettiva, infatti, Fagioli ha proseguito, collettivamente, la ricerca che aveva intrapreso nei decenni precedenti in solitudine.
“Fu perché nei primi anni, la definizione dell’Analisi collettiva non era netta. E dissi: «Annullate il fatto che ho scritto tre volumi di teoria. Ricominciamo insieme la ricerca»”.
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“La parola ricerca è legata all’immagine del ricercatore solitario che ha un rapporto con la realtà intelligente, originale per cui scopre cose non viste prima. È difficile pensare che la ricerca sperimentale, biologica possa essere legata ad un incontro tra persone, che spesso è addirittura uno scontro, mentre questo, stiamo dicendo, è indispensabile pensarlo in psichiatria. […] In psichiatria si confronta una realtà mentale con un’altra realtà mentale, c’è un incontro, e certamente in questo incontro c’è una ricerca in cui però, a differenza del biologo, le dinamiche attive sono da entrambe le parti e si incontrano. […] Allora la ricerca va fatta con un metodo diverso, e prima forse e più ancora della scoperta di un metodo diverso occorre che lo psichiatra, per poter fare ricerca, realizzi un’identità di pensiero diversa da quella del ricercatore medico-biologico”.
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