“È emerso dalla mano un movimento che, prima, non c’era. Prima, lo dissi, venne… l’esigenza, il movimento della mente che voleva… parlare facendo immagine”
Immagini
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“Solo l’artista riesce, con le immagini che gli altri non capiscono, ad essere libero di parlare senza parola”.
IL RAPPORTO CON LE IMMAGINI
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“Credo ormai sia piuttosto un pettegolezzo diffuso che io ho fatto le cose non per mia iniziativa, ma perché mi è stato richiesto, cioè perché si è stabilito un rapporto. […] Ma in questa storia del disegnare, io non ho mai disegnato da solo”.
“Vi racconto un fatto personale. Quando ero piccolo ogni tanto sentivo dire: “van Gogh un genio”, “Beethoven un genio”… “Come sarebbe a dire un genio? Quelli non parlano: disegnano e fanno musica”.
Evidentemente mi sono chiesto da subito se il fatto di essere geni potesse non essere per niente legato al linguaggio articolato. Perbacco, ma per forza di cose il genio si riferisce al pensiero, e allora può darsi che il pensiero sia anche qualche altra cosa al di là del linguaggio articolato, e ci può essere anche quando il linguaggio articolato non c’è!
Non posso chiedere a un grande pianista di tagliarsi la lingua per dimostrare, suonando il pianoforte, che il pensiero c’è anche senza il linguaggio articolato, e bisogna stare attenti anche a un’altra idea: il pensiero è quando uno fa le cose… o no? Perché se consideriamo il pittore, il pianista, il musicista che fanno le cose, torniamo sempre alla stessa storia: il bambino non fa le cose, non disegna, non scrive”.
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Vedi il video della lezione del 12 Marzo 2004
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“È accaduto che un gruppo di architetti a un certo momento ha cominciato a chiedermi: “Perché non fai questo disegno?”. In verità la cosa comincia con Diavolo in corpo, quando gli architetti si accorsero che io sapevo fare le immagini, costruivo le immagini, creavo immagini nuove. Cosa che dice anche Bellocchio, che io avevo l’immaginazione, adoperavo gli attori non per descrivere un comportamento, ma per creare un’immagine nuova con il movimento del corpo degli attori”.
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Roma Libera, 23 ottobre 1994. Incontro con gli architetti nella sede dei seminari di Analisi collettiva, registrazione video in occasione della mostra Il coraggio delle immagini, Tunisi 1994
CINEMA E ARCHITETTURA
1986, Diavolo in corpo
“Il personaggio principale di questo film è di nuovo un ribelle al cento per cento, e io direi che forse questo film ci dovrebbe aiutare a riflettere sul concetto di violenza e nonviolenza. Questo ragazzo si oppone, si ribella al padre, alla madre, al matrimonio, e cerca sostanzialmente una libertà sessuale; la caratteristica fondamentale di questa cosa è che lui non muore, anzi arriva a una realizzazione personale sua e, nel film, anche della donna che sta con lui che è contenta della sua realizzazione personale. Alla realizzazione di lui corrisponde l’identità di lei”.
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Roma di prossima pubblicazione
“Il ragazzo di Diavolo in corpo andò all’esame di maturità dopo e con una storia d’amore con una donna bella più grande di lui. Era destinata ad una vita comoda di moglie e madre, come sposa benedetta dalla Chiesa cattolica. Un amore detto ‘felice’ che nascondeva la depressione per l’impossibilità del rifiuto dell’idea dell’anaffettività ‘naturale’ delle donne. E la donna del film che era memoria fuggì dalla chiesa e si commosse di fronte alla realizzazione dell’identità del ragazzo più giovane di lei. E vennero sogni e interpretazioni che dicevano: esame di maturità non significa superare l’adolescenza, ma guarigione da disturbi della mente che potevano essere o diventare malattia”.
Gli anni ’90: La condanna e Il sogno della farfalla
“Nel ’91 facevo già, da molti anni, le sedute di psicoterapia di gruppo che, per la folla di persone che vi partecipano, è chiamata Analisi collettiva. Nelle ore libere feci, a quei tempi, il progetto della libreria Amore e Psiche, quello che viene detto Palazzetto bianco, la copertina della rivista Il sogno della farfalla, scrissi l’articolo intitolato Una depressione scrissi le sceneggiature de La condanna e de Il sogno della farfalla che divennero film”.
“E compaiono le memorie dei film fatti insieme a Bellocchio, in cui la ricerca di una immagine di donna che cercava la sua identità era l’intenzione fondante della collaborazione. […] vennero le tre donne di La condanna con l’irraggiungibile bruna finale, vennero le due donne di Il sogno della farfalla, con un ragazzo che non voleva usare il linguaggio comune che aveva un significato, ma è senza senso”.
“Ed ora ricordo il protagonista della sceneggiatura di un film che scrissi nel 1991, che ebbe la definizione di ‘il ragazzo che non parla’. Ora penso che tale immagine diceva che non voleva ripetere le cose ascoltate nella filosofia perché, forse, erano preghiere rivolte a un dio invisibile e non nominato”.
“Come il protagonista del film Il sogno della farfalla, in un tempo lontano, rifiutai il pensiero verbale degli antichi perché indicava ciò che i sensi percepivano”.
Gli anni 90, Il coraggio delle immagini
“Ma l’architettura non è pittura e scultura che prescindono dal rapporto con gli altri, le case sono costruite per gli esseri umani, le case sono costruite per gli animali viventi e per le piante del regno vegetale, allora la costrizione al rapporto col mondo e con gli altri ammorbidisce la violenza dell’immagine bella e la bellezza di una parete curva rende soltanto schiavi gli abitanti della casa, li costringe cioè ad adattarsi, a pagare il prezzo alla bellezza di un movimento scomodo”.
Roma di prossima pubblicazione
La libreria Amore e Psiche:
“Una libreria nacque dalla fantasia di un arco invisibile”.
“Libreria Amore e Psiche. La facemmo vent’anni fa, nel 1991, e fu inaugurata il 12 aprile 1992[…] Io, quando mi portarono di fronte a tre stanze buie, mossi il corpo e il braccio e, accompagnandoli con le parole senza significato, disegnai con la mano, nell’aria, immagini di cui non ero cosciente.[…] Poi i muratori demolirono un pezzo di parete e comparve un arco. Poi i falegnami lavorarono il legno e le immagini-idee diventarono piani e scale. A mezz’aria comparvero le pale di un mulino a vento che raddoppiarono il pavimento. Forse parlavano delle ali di una farfalla perché l’immobilità della materia inerte, legno stagionato e ferro, era in verità movimento d’immagini”.
Il Palazzetto Bianco
“Non ho fatto la parete dritta, ho fatto la parete curva giocando proprio su questa faccenda del rovesciare una piramide, e questo, te lo dicevo: bisogna fare una piramide rovesciata, cioè non come gli egiziani che hanno fatto la piramide con la grande base che va a punta ma il contrario. E lì c’è questo principio di partire da
una base stretta per andare al largo […]”.
Incontro in libreria con Franco Purini e Massimo Fagioli sul Palazzetto bianco, 24 giugno 2007
“[…] Passare attraverso”.
Roma di prossima pubblicazione
“ […]non si vedono gli appartamenti nel Palazzetto bianco! si vede solo la facciata dell’Analisi collettiva luminosa, bianchissima, in cui sembra che sono tutti uguali, tutti in fila nelle panche etc. E dietro, quello che c’è, non si vede, si vedono questi balconi., e lo sapete che la storia comincia con la storia di un caso in cui quello perdeva la testa e diventava schizofrenico perché cadeva dal balcone…
[…] mi hanno detto che mettere in un piccolo appartamento dei colori fortissimi lo rimpicciolisce, lì è successo un fenomeno strano, l’ha ingrandito: un marrone forte, un verdone ma proprio….un verdino più chiaro, un rosso….un blé!! In una stanza di sette metri quadri una parete tutta blé, mah, altro che cazzotto in un occhio! Invece ci si sta, sì, come se ci fosse un’armonia di colori ma fortissimi.
Lorenzo: sì ci si sta bene, c’è un’armonia di colori e spazio insieme, 60 metri quadri 14 colori non considerando il bianco, sennò 15…”.
Incontro in libreria con Franco Purini e Massimo Fagioli sul Palazzetto bianco, 24 giugno 2007
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Estratto da: “Scherzo” 2001
IMMAGINE INCONSCIA NON ONIRICA
“[…] ho ripetuto tutta la storia della memoria cosciente, della figura percepita dalla rètina, e poi dell’immagine interiore che può essere legata al mondo misterioso della notte in cui nella mente compaiono immagini che non sono esattamente la percezione, la fotografia dell’oggetto, ma sono trasformate, fino a pensare che l’artista sarebbe tale se riesce non tanto a proporci una serie di fotografie di cose […] ma delle immagini interiori, fino a trovare quella formula che qui, nella nostra ricerca, è comparsa in particolare il 12 maggio del 1995, a Napoli: immagine, sì inconscia, ma non di sogno, non onirica(*). Vale a dire il pensiero che l’artista riesce a far emergere durante la veglia, immagini che non sono la percezione, la fotografia e la memoria cosciente di ciò che è visto o sentito. E la formula è questa: immagine non cosciente, senza coscienza, e non onirica, perché l’artista ovviamente lavora quando è sveglio, non quando dorme”.
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*Il riferimento è al seminario Le forme del linguaggio svoltosi a Napoli il 12 maggio 1995 presso L’Istituto Universitario Orientale, durante il quale fu usata per la prima volta l’espressione «immagine inconscia non onirica». Cfr. Le forme del linguaggio, in Il sogno della farfalla, rivista di psichiatria e psicoterapia,4, 1995, pp. 3-28.[NdR]
“C’era stato anche un disegno, detto La ragazzetta, disegno fatto l’anno precedente in cui c’era una deformazione, un braccio lungo in modo abnorme, per cui non poteva essere né un ricordo cosciente né un ritratto. Era un’immagine che chiamiamo non cosciente e non era però un’immagine onirica. Immagine, immagine, immagine. È la parola che è diventata un’ossessione. Ricordo cosciente, immagine onirica, immagine che non è ricordo, immagine non cosciente ma non onirica. Le parole hanno trovato la loro cosa”.
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L'Asino d'oro edizioni, di prossima pubblicazione
“Il caro artista che aveva fatto il mosaico molto carinamente ha detto: «Va bene, io ho scalpello e frullino…». Li ho presi subito e lui non mi ha detto di no, che quegli strumenti erano suoi, li usava lui e che io dovevo fare lo psichiatra. A mo’ di Aiace che con la spada ammazza tutte le pecore credendo di vendicarsi sugli Achei, ho cominciato a tagliare e spaccare per trasformare quella figura in modo tale che di quella di prima non rimanesse più nulla, pur restando le pietruzze di colore verde, di colore giallo eccetera. Non ho modificato i colori delle pietre ma le linee, facendo con il frullino delle curve diverse da quelle che c’erano, tagliando la massa di capelli e mettendoci prima la polvere di caffè, poi lo zafferano e poi ancora dei bei fili di lana gialla. Ho rifatto i capelli, la gola, la mano, ho rifatto il sedere[…]”.
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Roma, 2005
Roma, 2005
1998, Il cielo della luna
“Mi torna in mente un difficile lavoro nelle psicoterapie di gruppo dopo il 1998, quando fu proiettato il film Il cielo della luna. Si parlò molto, tra interpretazioni e ricerca, dei due protagonisti, il barbone e la donna, perché ci si chiedeva quale fosse l’immagine che rappresentava lo psichiatra e quale quella che rappresentava l’Analisi collettiva.
[…] si decise che il barbone era lo psichiatra e la donna l’Analisi collettiva: maschile lo psichiatra, femminile l’Analisi collettiva. Non fu facile, non fu facile perché la percezione cosciente diceva il contrario. Lo psichiatra era un noto professionista con classico studio; coloro che sembrava avessero rifiutato la società erano quelli che avevano partecipato al Sessantotto che sembrava una rivoluzione mondiale.
La verità era latente, la rivoluzione stava nella teoria nuova che era comparsa nei tre volumi che costituiscono una nuova visione della realtà mentale umana. Il noto professionista con classico studio in verità, era un barbone che aveva rifiutato la cultura tradizionale. Il Sessantotto, in verità, fu un fuoco di paglia perché non aveva nessuna nuova teoria. Forse possiamo dire la frase: una effimera libertà senza identità”.
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Estratto dal backstage de “Il cielo della luna”
Estratto da “Il cielo della luna”
1999, La scultura blu e il calendario
“Ma ora ricordo che il 27 luglio 1999, tenendo le gambe al fresco in una piscina, disegnai, con un mozzicone di matita, una figura strana con due grossi triangoli nella parte anteriore, che potevano essere visti come un grosso naso ed una grossa pancia… e mammella insieme e, dietro, piccolo ed un po’ spaventato quasi tremante, un omino”.
“Cosa avrà pensato il primitivo, 20.000 anni fa, prima di scoprire che il rapporto sessuale serviva anche per la gravidanza e la nascita? Queste cose non le sapevano, ed effettivamente fare il nesso con quello che è successo nove mesi prima… insomma, è un po’ difficile, anche perché suppongo che non scopavano una volta ogni nove mesi!
[…]Allora, facilmente, la donna è diventata divina. La prima idea di creatività è la nascita del bambino, la creazione di un altro essere umano. E allora ecco che l’uomo l’ho messo dietro, con l’occhio – come si dice? – allucinato, che sta a guardare questo fenomeno strano, incomprensibile. Ed ecco che lì – sono tutte ipotesi, sono tutte ricerche – nasce il pensiero religioso.
Il modo di rapportarsi a questo fenomeno della donna che partorisce, che è creativa, fa scattare l’uomo religioso. Si mette ad adorarla: l’uomo religioso si basa sull’anaffettività, cioè la reazione è una reazione anaffettiva per cui la divinizza, non è più un essere umano. Però diventando religioso diventa violento.
E comincia la violenza nei riguardi della donna, che si deve poi configurare con la scienza quando scopre il nesso tra spermatozoo e ovulo. E voi sapete che, ancora nel Seicento, c’era il disegno dello spermatozoo in cui c’era il bambino. […] Il bambino lo faceva l’uomo, perché stava nello spermatozoo”.
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“Sono già due settimane e quaranta ore di psicoterapia che il mio corpo soggiace al ritmo di vita che le lettere, le figure ed i colori del calendario impongono. Lo disegnai dieci anni fa in un agosto caldo, simile a quello appena scomparso. È diverso da quelli che si vedono in ogni luogo, con le figure di belle donne nude. Feci senza pensarci, in un paio d’ore, disegni che si potrebbero definire astratti, in cui compare chiaramente un’immagine di donna. A gennaio c’è una forma completamente diversa dalla silhouette di dicembre che sembra nascosta sotto due lenzuola, come se dormisse. Aprile rivela, palesemente, un uomo angosciato sul lettino analitico […]. Ora, guardando, è evidente il linguaggio delle immagini che dice che, a gennaio, la donna fa pensare alla malattia della psiche; a dicembre c’è un’altra immagine e l’allusione al sonno e anche ad un rapporto con l’uomo realizzato senza coscienza e ragione: come se dormisse”.
Via Roma Libera 23: l’architettura
“[…] quando, nel 2001, rinnovai il luogo dove si svolgono le sedute di psicoterapia che vivono con un movimento che non è ragione. Feci fare una struttura, tutta di legno, diretta da due linee immaginabili che erano due lati di un angolo sul cui vertice mi siedo, potendo vedere e parlare a coloro che stanno dall’uno all’altro lato. Poi tutti videro che una terza linea, tagliando il cortile, univa le due punte estreme facendo un terzo lato e due angoli”.
“Prima del 2001 non era così: quasi la metà delle persone era fuori dal mio sguardo ed io ero fuori dalla loro possibilità di vedermi ed anche di udirmi nonostante il microfono e l’altoparlante. Ero, cioè, in mezzo a loro soltanto a metà: ovvero soltanto in mezzo alla metà di loro. Allora penso che, forse, anch’io ero in mezzo a loro soltanto a metà. Ora sono in mezzo a tutti loro perché ora è sufficiente girare appena un po’ la poltroncina girevole […] poi comparve la nuova edizione del terzo libro, dopo la nuova architettura dello studio per la psicoterapia di gruppo. Nuova architettura e nuova edizione del terzo libro che sembra uguale a prima perché non è stata modificata neppure una riga; ma è un nuovo libro perché ora il titolo si legge con le parole: Teoria della nascita e castrazione umana.
Così, oltre a leggere il nuovo titolo, vediamo anche un’architettura completamente nuova o, meglio, dopo aver visto un’architettura completamente nuova abbiamo letto un nuovo titolo che fa, del libro, una immagine completamente nuova. Allora penso che l’architettura nuova e il titolo nuovo sono occhi che possono far vedere la massa informe […] che si chiama Analisi collettiva.
Allora penso che non basta vedere la figura cosciente dell’architettura dello studio, è necessario il linguaggio articolato che ha eliminato, fatto sparire la parola che ora non riesco a scrivere, se guardate le vecchie edizione, vedrete. Ora si legge Teoria della nascita e castrazione umana. Così, è certo, sono sparite molte cose”.
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L'Asino d'oro edizioni, di prossima pubblicazione
La Psichiatria Esiste (Estratto Dvd 1)
2003, La psichiatria esiste? Una ricerca, un dibattito, un film
La Psichiatria Esiste (Estratto Dvd 2)
IN CIMA ALLA CITTÀ E AI SOGNI
“La prima volta lo vidi nel 1998 e mi piacque subito, c’era soltanto il pavimento di cotto e pioveva dentro ma è stato un colpo di fulmine. Per me che ho sempre a che fare con i sogni, la casa di volta in volta è identità o modo di essere, di vivere. E io vivo tra veglia e sogno, lavoro bene nel passaggio dall’una all’altro”.
Abitare, questa è la mia casa. Vivo in cima alla città e ai sogni, di Giovanna Pezzuoli, Corriere della Sera, 30 Aprile 2011
Abitare, questa è la mia casa. Vivo in cima alla città e ai sogni, di Giovanna Pezzuoli, Corriere della Sera, 30 Aprile 2011
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“Forse ho rubato il pensiero che fa il sogno quando, dopo aver chiuso gli occhi e dimenticato il mondo, disegna immagini. Ho rinnovato il luogo dove si svolge la psicoterapia di gruppo, ho rinnovato il gazebo che, immobile, sta in un angolo della terrazza e ha davanti le tante piante che si muovono sempre, anche di notte quando non le guardo. Il gabbiano è sempre immobile, in alto lontano, ed ogni tanto sparisce. Ma io ricordo e so che vola via ad ali spiegate”.
“Una giornalista, donna, ha fatto vedere a tutti la verità della realtà privata dello «psichiatra inventore dell’Analisi collettiva». Una sintesi poetica di una vita dedicata alla ricerca sulla verità della realtà umana. Ogni riga sembra un verso di un racconto scritto con un linguaggio poetico che armonizza la sedia «hysteria» con trentasei anni di interpretazione dei sogni. «Io vivo tra veglia e sogno»”.
“Qui in casa ho messo le fotografie, i disegni, in questo rapporto splendido con la nascita delle nipotine, volta per volta. Adesso sono quattro.
Lattuada: Allora andiamo dentro a vedere. Siamo entrati passando da uno studio, dove poi ritorneremo. Questa è una sala da pranzo, piena di questi famosi disegni di cui stavamo parlando prima. Cominciamo a parlare dei primi che ci arrivano vicini, per esempio quello.
E’ la composizione tra fotografia e disegni miei. Questo lo feci su un autobus in Egitto e rappresenta l’immagine del volto della prima nipotina. Quando era nell’utero l’ho immaginata così; questo è quando era nata, con il sorriso; questo ovviamente è il nome, Ginevra. Io la chiamavo Veva perché lei si chiamava Veva, da sola: “Come ti chiami?”. “Veva!”. Così Veva è rimasto. Quella è già un po’ più adulta e, poi, diventa il volto adulto”.
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